Suta e revoute da nostra
Scarpéta
i andaixevan tra risse e
maui,
sensa u cunfortu d’in
bandiréta
ciancianinetu. In ciassa di
Durui
i se segnava e purtariixe,
sci.
Surve da testa ele i
caregava
ina mina de farina, o in
gardavì,
a
grüpi de due, catru. I pensava
au
ben da famija. Ste done asbije
sti
agni, i l’eiran u vantu, l’unù
da
sità. I e vuixevan pe’ e vie
da
tegnì bèn, e i gevi incaussà,
ascì
pe ste Franse. Ele i partiva
cuu
u grupu inta gura ma sensa sbuffà.
Enrica Carlo – Dialetto di Sanremo
Premio dell’Associazione
culturale “A Cria” di Vallebona al XVII Concorso letterario di Poesia
Dialettale “Giannino Orengo” di Dolceacqua – Ed. 2022, con la seguente
motivazione:
La
poesia descrive con grazia e rispetto l’antico lavoro delle donne portatrici di
Sanremo. In sincronia, a due, a quattro, eseguivano trasporti voluminosi e
pesanti posando il carico sulla testa, protetta da uno strofinaccio
avvoltolato. La loro capacità e forza di volontà creavano richieste per
eseguire lavori di ogni tipo, sia in loco sia in terra straniera di Francia,
soprattutto per operare nelle vigne: con un nodo alla gola partivano, per il
bene della famiglia. Meritato ritratto di una condizione che fu necessità a suo
tempo e che divenne virtù.
LE
PORTATRICI
Sotto
gli archi della vecchia Sanremo
andavano
tra ciottoli e mattoni
senza
il conforto di un ventaglio
pian
pianino. In “Piazza del Dolori”
si
facevano il segno della croce, sì.
Sopra
la testa reggevano
un quintale
di farina o un armadio a
specchio,
ê gruppi di due, quattro. Pensavano
al
bene della famiglia. Queste donne in gamba
tanti
anni fa, erano il vanto, l’onore
della
città. Erano richieste
per
coltivare la vite, rincalzare le zolle,
persino
dai francesi. Elle partivano
col
groppo in gola ma senza sbuffare.
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