Au frešcu,
se fa per di,
d’in mandiu agruppau ai
cattru canti,
zènzighe dü(r)e come
l’àvregu
i ruxìa cruštiui de pan
sènsa meùlla.
Gotti de vìn
bevüi ciü pe necèssitae che
pe deš-ciatô alegria,
mae che a sùn d’acaveô prée
i l’han piau u mèximu àndiu,
in te šte eštae mai fignìe,
sènza ina baxina, fàime u
piaxé:
nu štaime a parlô de “muri a
secco”,
ma numma de maxèi
šcunsciài...
Giovanni
Natalino Trincheri – Dialetto di Dolcedo
Menzione speciale della Giuria al XVII
Concorso letterario di Poesia Dialettale “Giannino Orengo” di Dolceacqua – Ed.
2022, con la seguente motivazione:
Del
patrimonio Unesco dei muri a secco, in pochi versi l’autore descrive i muratori
di un tempo, col fazzoletto in testa annodato ai quattro angoli, il pane
rosicchiato da gengive dure, bicchieri di vino bevuti per necessità, mani che
sono diventate anch’esse simili alle pietre. Lavoro infinito in altrettante
infinite estati senza pioggia, per un presente in cui quasi più nessuno è
capace a costruire muri a secco e si è costretti ad assistere inesorabilmente
al loro continuo franare. Perdita delle radici e del territorio.
“MURI A SECCO”??
Al fresco,
si fa per dire,
di un fazzoletto annodato ai
quattro apici
gengive dure come avrego
(tipo di pietra)
rosicchiano tozzi di pane
senza mollica.
Bicchieri di vino
bevuti più per necessità che
scoprire allegria,
mani che dal tanto
acconciare pietre
hanno preso il medesimo
garbo,
in queste estati mai finite,
senza una goccia di pioggia,
fatemi il piacere:
non statemi a parlare di
“muri a secco”,
ma solo di muri franati…
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