venerdì 17 ottobre 2025

DAPÖI A BATAGLIA di Victor Hugo – trad. di Giuseppe Facciolo

 

                                                                     

Me’ pàire, chelu francu cu’u faturisu cuscì duçe,

seghìu da numà in ussaru che tegniva int’u cö ciü che tüti i autri

pe’ u sou curàgiu grandu e a sou autessa gaspiùsa,

u l’andava a cavalu, â séira d’ina bataglia,

cu’i campi cüverti de morti damentre che a nöte a carava.

U gh’é paresciüu de sentì int’u cüban in làiru pecìn.

U l’éira in spagnolu d’ina armata spèrsa,

ch’u se rabelava sanghénùsu in sciâ bunda d’u camìn,

rangugnandu, ferìu, cen de negrùn e mèzu mortu

e ch’u dumandava: àiga, àiga pe’ pietà!

Me’ pàire, cumossu, u l’a porzüu au sou ussaru fiàu

in fiascu pecìn de rum ch’u pendeva da sou sèla,

e u gh’a ditu: “Ecu, dè da büve a chelu poveru ciagàu”.

Tütasseme, int’u mumentu che l’ussaru cürvu

u se chinava de li zü a elu, l’omu, ina raza de mouru,

u l’a pigliàu ina pistola ch’a ancùra u strenzeva,

e l’a mirau â fronte de me’ pàire, criandu: “Caramba!”.

A bòta a l’é passà cuscì arente ch’u capelu u l’é picau zü

e u cavalu u l’a barluciàu inderré.

“Deghe l’istessu da büve” u gh’a ditu me’ pàire.

 

 

 

Giuseppe Facciolo – Dialetto di Ventimiglia

Poesia che partecipato a “U Giacuré" – Ed. 2025 – Sezione Traduzioni

 


DOPO LA BATTAGLIA  di Victor Hugo                                                               

                                                                                 

Mio padre, quell’eroe dal sorriso così dolce.                  

Seguito da un solo ussaro che più amava fra tutti           

per il suo grande coraggio e la sua imponente statura,    

percorreva a cavallo, la sera di una battaglia,                   

i campi coperti di morti sui quali stava calando la notte.

Gli sembrò di udire nell’oscurità un flebile lamento.       

Era uno spagnolo dell’esercito in rotta,                            

che si trascinava sanguinante sul ciglio della strada,       

lamentandosi, ferito, livido e mezzo morto                      

e che diceva: acqua, acqua per pietà!                                

Mio padre, commosso, porse al suo fedele ussaro            

una fiaschetta di rhum che pendeva dalla sua sella,          

e disse: “Ecco, date da bere a quel povero ferito”.            

All’improvviso, nel momento in cui l’ussaro curvo          

si chinava verso di lui, l’uomo, una specie di moro,          

afferrò la pistola che ancora stringeva,                               

e mirò alla fronte di mio padre, gridando: “Caramba!”     

Il colpo passò così vicino che il cappello cadde              

e il cavallo barcollò all’indietro.                                           

“Dategli ugualmente da bere” disse mio padre.   

               

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