martedì 2 settembre 2025

RESPIȒU DU DUMÀN di Vincenzo Bolia




Ciumbau
inte l
ieȓi

e me g
üstu
u dum
àn

ch’u porta
u respi
ȓu

de chi
u nu gh
’è ciǘ.

 


Vincenzo Bolia – Dialetto di Albenga

Poesia che ha partecipato al  XX Concorso Letterario di Poesia Dialettale “Giannino Orengo” di Dolceacqua – Ed. 2025 

 


RESPIRO DEL DOMANI

Immerso
nel passato

assaporo
il domani

che porta
il respiro

di chi
non c’è più.

 

domenica 31 agosto 2025

U PERSEGU di Nives Bianchi

 



Chéla giornà de lügliu de càiche annu fà

u sù u scàudava i corpi e gl'àime a tüttu andà

e tü me càa maie  ti èi andà a aigà,

mai ciü pensandu de nu returnà.

Mèntre ti aspèitavi l’àiga per l'ortu asciügàu,

ti t’ài pigliàu in pèrsegu duze, prufümàu,

ti g' ài dàu ina morscià e ciù de mézzu ti te l’ài mangiàu...

Che bon...

Mentre ti tu güstavi, chela dàma negra per man a t' à pigliàu

e cun éla a t' à portàu.

 

 

 

Nives Bianchi – Dialetto di Badalucco

Poesia che ha partecipato al Concorso "Bellissimi versi" – Ed. 2025

 

 

LA PESCA

 

Quel giorno di luglio di qualche anno fa

il sole scaldava i corpi e le anime a tutto andare

e tu mia cara mamma sei andata a innaffiare,

mai più pensando di non ritornare.

Mentre aspettavi l’acqua per l’orto assettato,

ti sei presa una pesca dolce, profumata,

le hai dato una morsicata e più di mezza l’hai mangiata…

Che buona…

Mentre te la gustavi, quella dama nera ti ha preso x mano

e con lei ti ha portato.


COUSE D’IGNA VOUTA di Silvano Rebaudo


Cueta, martelaira, pichetu, mesuira e daiu

 

Candu l’erba a l’è auta

E besegna daeghe in taiu.

 

Trenta e raster per abigaela e lasciaela secae.

 

U scaudaleitu sute i lensei

Per scaudae maire, paire ei sei fiei.

U barie cen de merda

Da portae in te l’oetu a veiae,

per cuncimae.

U pairoe de ramu cun u bastun

Per girae a pulenta in ta freida stagiun.

A tarabaca, che u venerdi santu,

candu e campare i nu soeran ci,

a l’entra in funsiun, fin ae di de a resuresiun.

Candu u leame da a stala u se deve levae

A paua e u trenta besegna aduperae.

Magaietu per intrecavae e,

magaiu, candu e patate i sun maire

e i se deve arancae.

A trapeta per aramae e u sacun

per cheie insueiai e oerive che,

fora dee tende i sun cruae.

A migna, u sacu, u mundaue

Per netegiae e oerive dae feie e dae rame

Prima de portaele a sfragne.

Merter e bastun per pistae u gran

 

E ANCOE

 

Vagliu, morignetu der café, beriun, coeba,

cavagnu, puaira, puairassu.....

Tite couse d’igna vouta,

tante adesu i nu se isan ci e,

se ti ne paela ai giuvi danchei,

i se mete a rie

e i te pia ancoe per u chie.

 

 

 

Silvano Rebaudo – Dialetto di Pigna

Premio “Comune di Pigna” al XX Concorso Letterario di Poesia Dialettale “Giannino Orengo” di Dolceacqua – Ed. 2025 con la seguente motivazione:

Gli oggetti antichi, le cose di una volta, oltre che a sparire dall’uso, sparirebbero anche nella loro nomenclatura se non diventassero parole sulla carta o esposizioni museali. E’ così che si può lasciare una traccia nel tempo del loro essere esistiti e utilizzati. Testimonianza che solleva anche una visione delle epoche e delle persone cui sono appartenuti: un mondo che i giovani d’oggi deridono come non fosse mai esistito.

 

 

COSE DI UNA VOLTA

 

Cote, incudine battifalce, martello, falce e falce fienaia

 

Quando l’erba è alta

e bisogna darci un taglio.

 

Tridente e rastrello per ammucchiarla e lasciarla seccare

 

Il scaldaletto sotto le lenzuola

per scaldare madre, padre e i loro figli.

Il barile pieno di cacca

da portare nell’orto per concimare.

Il paiolo di rame con il bastone

per girare la polenta nella stagione fredda.

La tanavella (o battola o crotalo), che il venerdi santo,

 

quando le campane non suonano più,

entra in funzione, fino al giorno della Resurrezione.

Quando il letame dalla stalla bisogna togliere,

la pala e il tridente bisogna usare.

Zappetta per zappettare

 

e zappa a tre denti, quando le patate sono mature

 

e si devono togliere.

 

La pertica per abbacchiare e il sacchetto

per raccogliere, inginocchiati, le olive che,

fuori dalle tende sono cadute.

Il doppio decalitro, il sacco, la defogliatrice

per pulire le olive dalle foglie e dai rami

prima di portarle a macinare.

Mortaio e bastone per pestare il grano

 

E ANCORA

 

cesta per mondare il grano, macinino per il caffè, fraschera da fieno, cesta grande

cesta, roncola, roncola grande (o roncola bergamasca)

tutte cose di una volta,

tante adesso non si usano più e,

se ne parli ai giovani di oggi, si mettono a ridere

e ti prendono ancora per i fondelli.


sabato 30 agosto 2025

INA VECIA CANSÙN di Roberto Rovelli



                       

Méżu adurmìu insci’û sufà,                  

m’assunava de sentì a müxica lénta             

d’ina vecia cansùn;                            

ina cansùn che nu’ ava sentìu              

da ciü d’ina vita.                        

Cu’i ögli ciüghi, pe’ pùira d’indröveři     

e pèrde chelu mumentu abazuràu,               

a mei memoria a s’eira lansà                      

int’u garavügliu de regòrdi suterài        

suta â çene grixa de ani urmai scurdài.        

 

Cianìn a müxica a m’ava straportàu luntàn,   

int’in’autra vita, ina vita de zuventü:            

dui corpi abrassài strénti, süài,                    

asciarmài inte chele caude séirane d’estae;   

u gòugiu d’a sòu pasciùn intreixàu        

cun l’ardù d’a mei cuvéa;                   

in bàixu robàu d’aciatùn                     

fra e note apasciunàe de chela cansùn.        

Tütu u nostru mundu sansügàu                    

int’u sccétu piaixé d’in muméntu de pecàu.   

 

Regòrdi piaixénti cu’in fi de mařincunia,        

testimoni d’a sciala inscìta                   

d’avé avüu a furtüna d’assazà                     

u bàrsamu d’a vita cume a Natüra a prupune,       

cu’in sensu de maravéglia e sença regréti.    

Regòrdi perdüi int’u tempu, turna sciurinài    

d’â müxica lénta d’ina vecia cansùn.            

Regòrdi preçiusi; prie d’u maixé d’a mei vita          

che, inscì se méżu derrucàu, u l’è ancù in péi:                     

chissà pe’ cantu...      

 

 

 

Roberto Rovelli – Dialetto di La Mortola

III classificato al Concorso Letterario di Poesia Dialettale “Giannino Orengo” di Dolceacqua – Ed. 2025, con la seguente motivazione:

Nella nostalgia più pura, la narrazione ricostruisce un ricordo sollevato da una vecchia canzone e sepolto da molti anni. L’autore si rivede sopra un divano, abbracciato ad un altro corpo, con l’ardore e il desiderio della gioventù, per rubare un bacio di nascosto, considerato un attimo di peccato. Verso la fine del suo cammino esistenziale, ecco riaffiorare questo ricordo intenso e malinconico, ma capace di rievocare l’essenza della vita: la sensazione di meraviglia senza rimpianti.  


Cultura Dolceacqua                 

 

 

UNA VECCHIA CANZONE

 

Mezzo addormentato sul divano,

mi sognavo di sentire la musica lenta

di una vecchia canzone;

una canzone che non avevo sentito

da più di una vita.

Con gli occhi chiusi, per paura di aprirli

e perdere quel momento incantato,

la mia memoria si era slanciata

nel groviglio di ricordi sepolti

sotto la cenere grigia di anni ormai dimenticati.

 

Lentamente la musica mi aveva trasportato lontano,

in un’altra vita, una vita di gioventù:

due corpi abbracciati stretti, sudati,

eccitati in quelle calde sere d’estate;

l’affanno della sua passione intrecciato

con l’ardore del mio desiderio;

un bacio rubato di nascosto

tra le note appassionate di quella canzone.

Tutto il nostro mondo assorto

nel puro piacere di un attimo di peccato.

 

Ricordi piacevoli con un filo di malinconia,

testimoni della gioia innata

d’aver avuto la fortuna d’assaggiare

il nettare della vita come la Natura intende,

con un senso di meraviglia e senza rimpianti.

Ricordi perduti nel tempo, nuovamente sciorinati

dalla musica lenta di una vecchia canzone.

Ricordi preziosi; pietre del muro (a secco) della mia vita

che, anche se mezzo diroccato, è ancora in piedi:

chissà per quanto...

 

venerdì 29 agosto 2025

NU SUN ÜNA DE MARINA di Alina Gastaudo


Rocchetta Nervina (Im)


Me godu l’arena c'a brüxia de su,

l'audù de sarin,

l'aiga incuronà de fi d'ouru

ch'i dandana au pasu longu re unde.

Ma se ciügu i ögli

a cercà in poucu de paixe,

vegu arburi grandi,

autuni rusci de rügine,

colete giale de venchi sciurì.

Sentu cantà in ti bausi

a mia rüvaira 

c'a veste de sutire taragnae d’aiga

custeti de felügura.

Vegu a prima ch’a l'ince i ögli e u cö

d'in verdu növu.

Sentu u fringhé in te föglie ra cereixa,

in tu nasu u fen segau,

u stecadò, a verbena

e, in sce l'erba, l'aiga fina.

Na, nu sun dabon üna de marina.

 

 

 

Alina Gastaudo – Dialetto di Rocchetta Nervina

II classificato al Concorso Letterario di Poesia Dialettale “Giannino Orengo” di Dolceacqua – Ed. 2025, con la seguente motivazione:

Nel contesto di un territorio variegato come quello ligure, l’autrice assapora la bellezza del mare, con i suoi odori salmastri e il rumore delle onde. Quando, però, chiude gli occhi, le sovvengono altre e numerose poetiche immagini tipiche della campagna, dove è nata e vive. Si culla nel paesaggio montano, ricco di profumi, suoni e dettagli visivi, che mutano ad ogni cambio di stagione, constatando di non essere “una di mare”. Poesia riflessiva, lucida, di sentimento.

 

Cultura Dolceacqua


NON SONO UNA DONNA DI MARE

 

Mi godo la sabbia che brucia di sole

l’odore di salino,

l’acqua incoronata di fili d’oro

che dondolano al passo lungo delle onde.

Ma se chiudo gli occhi

a cercare un po’ di pace,

vedo alberi alti

autunni rossi ruggine,

colline gialle di ginestre fiorite.

Sento cantare tra i sassi

il mio torrente

che riveste di sottili ragnatele d’acqua

piccoli cespi di felci.

Vedo la primavera che riempie occhi e cuore

di un verde nuovo.

Sento il fringuello tra le foglie del ciliegio,

nel naso il profumo del fieno falciato,

della lavanda e della  verbena

e, sull’erba, della pioggia fine.

No, davvero non sono una donna di mare.


mercoledì 27 agosto 2025

A VÖJ CANTÈ ŔA TERA di Pietro Baccino

 
Giusvalla (Sv)


A vöj cantè ŕa tera ch’a deštend

bŕichi e cuštéŕé lonżi daŕ mo,

dande a štent i campovan

i vegi di méi vegi,

da ŕa fatiga s-gnoi

fîn a l’ürtimu sciò.

Là u sciuŕiš u zafŕàn aŕ meiś d’utubŕ,

là a j’ö šcutò ŕ’ paŕóle

duze dŕa moŕe aŕ fij,

là a j’ö ’ncuntŕò ŕa gent

deŕ bóšc, deŕ pŕo, deŕ camp,

pel bŕüxoia da u su, pasci mżüŕoi,

ŕa man gŕéża an gŕupi

du tŕavaj d’ina vita.

U temp u viagia e u xgŕana

i meixi e i di dŕa šmana,

e u š-cianca via daŕ mond

agni e ómi, müŕaje e arneixi fŕüšti;

ma i ricórdi son nóš-ci

e quand a sent

na dona żuna o in fiö parlè an dialèt,

u’ m cŕeš an cö l’amù

pŕa me tera, ch’a viv cun ŕa só gent.

 

 

 

Pietro Baccino – Dialetto di Giusvalla (Sv)

I classificato al Concorso Letterario di Poesia Dialettale “Giannino Orengo” di Dolceacqua – Ed. 2025, con la seguente motivazione:

La poesia concentra i temi dei componimenti di questo concorso in un unico elaborato. L’autore dedica questo canto al suo territorio, ai suoi nonni che sopravvivevano con tanta fatica, alla madre che parlava con dolcezza al figlio quando c’era la raccolta dello zafferano, alla gente con la pelle arsa dal sole, alle mani con i nodi per il lavoro di una vita, al passato che si è portato anni, uomini, muri e arnesi consumati. Restano i ricordi che colmano il cuore quando sente una giovane o un bambino parlare dialetto. Nella brevità della poesia è racchiuso il sentimento per ogni aspetto del mondo di provenienza, della propria vita.

 

 

VOGLIO CANTARE LA TERRA

 

Voglio cantare la terra che distende

colline e pendii lungi dal mare,

dove a stento campavano

i nonni dei miei nonni,

dalla fatica segnati

fino all’ultimo respiro.

Là fiorisce il croco al mese di ottobre,

là ho ascoltato le parole

dolci della madre al figlio,

là ho incontrato la gente

del bosco, del prato, del campo,

pelle arsa dal sole, passi misurati,

la mano grezza in nodi

del lavoro di una vita.

Il tempo scorre e sgrana

i mesi e i giorni della settimana,

e strappa via dal mondo

anni e uomini, muri e arnesi frusti;

ma i ricordi son nostri

e quando sento

una giovane o un bimbo parlare in dialetto,

mi cresce in cuore l’affetto

per la mia terra, che vive con la sua gente.


domenica 3 agosto 2025

LUÑA di Carlo Costa



Vegia luña che ti spandi

carma, doçe comme t’ê,

a teu luxe e ti â mandi

à fâ ciæo zu da-o çê,

 

dimme, luña, no t’ê stanca

de fâ ciæo à monti e mâ?

A teu faccia freida, gianca

a no l’é stanca de miâ

 

mondo, tempi, vitta, gente

sensa paxe, sensa ben,

ch’a no vedde, ch’a no sente

ciù do ninte ch’a l’à in sen?

 

Doçe luña do mæ canto,

di mæ seugni, do mæ amô,

in sciâ tæra versa quanto

t’æ de cianto, t’æ de dô!

 

 

 

Carlo Costa (1919-2000) – Lingua genovese

Da “Comme l’öchin” (1994)

 Dalla pagina Facebook di Stefano Lusito

 

 

LUNA

Vecchia luna che spandi

calma, dolce come sei,

la tua luce e la mandi

a far luce giù dal cielo,

 

dimmi, luna, non sei stanca

di far luce a monti e mare?

La tua faccia fredda, bianca,

non è stanca di guardare

 

mondo, tempi, vita, gente

senza pace, senza bene,

che non vede, che non sente

più del niente che ha in seno?

 

Dolce luna del mio canto,

dei miei sogni, del mio amore

sulla terra versa quanto

hai di pianto, hai di dolore!