Éirimu gente d'in pecin
paìse:
i n’àn caciau inta marina
grande
di curui, dê lenghe e di
Scignui.
Samu nüà? Nu samu?
Ç’abugliamu?
Ciacün de nui u çerca u sou
bilun
e u nu se mola, pe’ nu andà
sutaiga.
E i morti i se sun stremai
int’in cantu
in po’ da parte intu sou
Paradisu:
i vön numà parlà de tantu in
tantu
li tra de eli ancù in
ventemigliusu.
Andrea
Capano - Dialetto di Ventimiglia
PREMIO “CENTRO DI CULTURA DIALETTALE”
Stevanin Carabalona al XXXIV U Giacuré – Ed. 2021, Vallebona – con la seguente
motivazione:
I
tanti migranti curdi, siriani, bengalesi, africani che transitano da
Ventimiglia hanno trasformato la piccola città in un miscuglio di colori,
lingue, religioni, diventando multiculturale. Il dialetto, ormai, si parla poco
e qualche anima, su in paradiso, con un po' di nostalgia, si raccoglie in un
angolo a parlare in ventemigliusu per ritrovare la propria identità. Tema
attualissimo delle immigrazioni che inevitabilmente intaccano le tradizioni dei
luoghi di accoglienza.
ERAVAMO GENTE DI UN PICCOLO
PAESE...
Eravamo gente di un piccolo
paese:
ci hanno buttato nel grande
mare
dei colori, delle lingue e
degli Dei.
Sappiamo nuotare? Non
sappiamo? Andiamo a fondo?
Ognuno di noi cerca il suo
pezzo di tronco
e non si lascia andare, per
non finire sottacqua.
E i morti si sono riparati
in un angolo
un po' appartato nel loro
Paradiso:
vogliono solo parlare di
tanto in tanto
lì tra di loro ancora in
ventimigliese.
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