Gianche farfale svurata intu
sé,
dventandu insa tèra in
sciocu manté.
U pasa in omu: in tešta in capé
e spale cüverte da in neiru manté,
in bucca ina pipa ca šmia in furné,
due socure d’ bošcu bitòi intu pé.
Camïnna cianin insu bordu da štrò,
us apogia a ‘baštun, u vö nen tumbò.
Vardandme um dijè ed dòme comin,
pr’andò anche mi a truvò u Bambin.
Diciu faciu m’ sun cangiaiu
e anche mi i hö caminau.
Tanta gente caminòva per sa štrò:
omi, fumne, anche majnò.
Lazü, ‘n fundu ui è in lumin:
a cabana cun u Bambin.
Ui ha förgiu, povru pciotu,
e du beštie eu scòdi pocu,
Lé, vardandmé, um fa in surizu,
e mi em sentu in paradizu.
Romano Nicolino – Dialetto ligure di Garessio
2014
NATALE
Bianche farfalle azzurre svolazzano nel cielo,
diventando sulla terra un soffice mantello.
Passa un uomo: in testa un cappello
e spalle coperte da un nero mantello,
in bocca una pipa che sembra un camino,
due zoccole di legno nei piedi.
Cammina adagio sul bordo della strada,
si appoggia ad un bastone, non vuole cadere.
Guardandomi mi dice di prepararmi
per andare anch’io a trovare il Bambino.
Detto fatto mi sono cambiato
Ed anch’io ho camminato.
Tanta gente camminava per quella strada:
uomini, donne, anche bambini.
Laggiù in fondo c’è un lumino:
la capanna col Bambino.
Ha freddo, povero piccolo,
i due animali lo scaldano poco,
Lui, guardandomi, mi fa un sorriso,
ed io mi sento in paradiso.
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